FARMACI
E MATERIALI DI ORIGINE BOVINA
Un ostacolo imprevisto per CUF e Comitati
Etici?
”In cauda venenum”. Sembrava tutto in ordine. Con il DL
18 marzo 1998, che attribuisce un ruolo giudicante ai Comitati Etici periferici,
viene consentito, dopo lunga attesa, di adeguare i tempi decisionali delle sperimentazioni cliniche a quelli dei Paesi CEE.
Invece, con una piccola sorpresa estiva (i Decreti indigesti arrivano quando
tutti sono in vacanza) il Ministero lo scorso 29 luglio, con una modifica al
Decreto 14 luglio 1997 (recante: ”misure relative alle immissioni in commercio
ed alle sperimentazioni cliniche concernenti medicinali provenienti da materiale
di origine bovina”) regala un importante elemento di disturbo alle
sperimentazioni cliniche presenti e future. Il Decreto (GU n° 206 del 4/9/1998)
è relativamente breve, con abbondanti allegati. Viene sottolineato che alla CUF
sono attribuite attività istruttorie sui possibili rischi di medicinali
relativamente all’encefalopatia spongiforme (BSE), avvalendosi di un apposito
gruppo istituito con decreto del Ministero della Sanità. Negli articoli
successivi si fa esplicitamente divieto di commercializzare e sottoporre a
sperimentazione clinica medicinali nella cui produzione siano stati utilizzati
materiali di origine bovina, qualora il rischio di trasmissione di BSE sia
ritenuto inaccettabile rispetto al beneficio terapeutico, considerate le
possibili alternative terapeutiche e di tecnica farmaceutica disponibili sul
mercato.
Il Decreto obbliga successivamente tutte le industrie a
comunicare con un programma software informazioni concernenti materiali di
origine animale, facendo successivamente pervenire anche il relativo materiale
cartaceo, ed attribuisce alla Commissione Unica del Farmaco la valutazione sul
rapporto rischio/beneficio di ciascun medicinale. Infine ”l’attività
istruttoria del decreto è svolta dalla Sottocommissione di Farmacovigilanza
della CUF, integrata..........da esperti all’uopo designati dal Ministero
della Sanità sulla base della documentazione di cui all’allegato 1”. Il
Decreto è corredato da una dozzina di pagine di allegati con tabelle,
questionari, ecc.
Leggendo il Decreto molti sono passati dallo sconcerto ad
una franca perplessità. Il problema della BSE è ben noto. Senza dubbio ha
costituito un importante elemento di preoccupazione ma, dalle ultime note
statistiche, non sembra certamente costituire sul piano numerico uno dei più
grandi rischi alimentari.
Almeno due elementi contribuiscono a rendere difficilmente
applicabile il decreto:
–
la Sottocommissione CUF dedicata alla problematica non si è di fatto mai
costituita e nemmeno riunita;
–
un prodotto di origine bovina, il magnesio stearato, è quasi
ubiquitario in tutte le specialità medicinali. Se l’articolo 1 venisse
applicato alla lettera, scomparirebbe dal mercato la grande maggioranza dei
prodotti per uso orale.
Viene da domandarsi quali obiettivi perseguisse il Decreto e
quali conseguenze possa avere. Vi è stato il sospetto che, attraverso il
controllo di moltissimi (nel caso dei prodotti orali la grande maggioranza) dei
contenuti dei prodotti testati, si adombrasse un controllo surrettizio della
CUF, preventivo o parallelo a quello dei Comitati Etici. All’atto pratico pare
invece si sia trattato piuttosto di controlli a carattere occasionale:
ingiunzioni a sorpresa nei confronti di industrie o di singoli sperimentatori,
con richiesta urgente di chiarimento nelle fasi di avvio di sperimentazioni con
prodotti contenenti in generale magnesio stearato. Nella maggioranza dei casi i
Comitati Etici hanno deciso di ignorare il Decreto, chiedendo eventualmente alle
industrie sponsor di documentare la provenienza dei derivati bovini da aree dove
la BSE non è stata riscontrata (ad es., Stati Uniti). Ha senso richiedere
delucidazioni preventive per un rischio di patologia, certamente molto grave, ma
comunque a bassissima incidenza e il cui collegamento con l’uso dei farmaci è
quanto meno assai dubbio? Per molti Comitati Etici questo piccolo Decreto ha
costituito una spina nel fianco, da cui alcuni non si sono risollevati. Speriamo
che dal Ministero arrivi una parola chiara, che ne delimiti in modo assai
ristretto i confini. Sembra inverosimile che per farmaci “di modesto uso”
come ranitidina, enalapril, naprossene e tanti altri si debba instillare il
dubbio di un fantomatico collegamento con una patologia delle più temute.
Cesare Sirtori